Negli ultimi giorni si è parlato molto della possibile resurrezione dell’economia americana e di come il dollaro possa riprendere vigore in seguito ad una manovra messa in atto dalla Fed.
La stessa banca centrale degli Stati Uniti si è proclamata ottimista in merito a quello che sarà il futuro del dollaro per il quale prevede una risalita che raggiungerà il suo apice nel 2022.
Qual’è la situazione reale della moneta americana?
Se da un lato qualcuno è convinto che la salvezza del Dollaro dipenda dalla manovra Fed di immissione di liquidità, dall’altro gli esperti di finanza si proclamano più scettici a riguardo.
Per capire il motivo del loro mancato entusiasmo bisogna conoscere il ciclo di vita della moneta e quindi come un dollaro “nasca” e come un dollaro “muoia”.
Un dollaro “nasce” quando viene concesso un prestito a fronte di una garanzia sul bilancio di una banca. Le banche possono emettere multipli di dollari per ogni dollaro di garanzia che hanno. È questo effetto di moltiplicazione ad espandere la quantità di dollari totali.
In generale, le banche hanno dei limiti su quanto possono prestare, diciamo che per ogni dollaro di garanzia che hanno, possono prestare 10 dollari. Effettuando prestiti nascono nuovi dollari che entrano nel sistema.
Man mano che le banche prestano di più, vengono creati più dollari e l’offerta di moneta aumenta.
Quando invece “muoiono” i dollari? I dollari “muoiono” quando i debiti vengono rimborsati. Ciò inverte l’effetto moltiplicatore del prestito, portando a una riduzione del totale di dollari nel sistema e una contrazione del totale di dollari in circolazione.
La Fed, in teoria, sta immettendo nuova moneta seguendo queste logiche di funzionamento, ma la situazione che si prospetterà sarà gravata da variabili che non possiamo non tenere in considerazione.
Questo perché la stampa di nuova moneta aumenta solo le garanzie con le quali le banche possono effettuare prestiti. Non nascono nuovi dollari effettivi, ma nuovi potenziali dollari.
La Fed è effettivamente in grado di aumentare a dismisura il potenziale di prestito delle banche ma fino a quando quest’ultime non entreranno in azione, non ci sarà maggiore liquidità effettiva in circolazione.
In definitiva la Fed da prova del suo potere di aumentare le garanzie bancarie ma il tutto non ha conseguenze concrete fintanto che le banche non prenderanno confidenza con il concedere prestiti e i privati non inizieranno ad averla nel richiederli.

Jerome Powell, Presidente della Fed, ha affermato che il recupero effettivo sta riscontrando prestazioni migliori rispetto a quanto ipotizzato inizialmente, sottolineando però la necessità di ulteriori aiuti circa eventuali sgravi fiscali addizionali.
D’altro canto, però, il trend economico generale resta in ribasso soprattutto in seguito alla pandemia che sta attualmente causando ingenti danni sotto molteplici aspetti negli USA.
Quello a cui stiamo assistendo, va precisato, è semplicemente una frenata al periodo di recessione che sta vivendo l’America, di certo non l’unica al mondo in questa situazione.
A tal proposito le proiezioni di crescita sono già state ridimensionate da un +5% ad un più realistico +4%. I tassi restano bloccati quasi sullo zero con la speranza di poterli mantenere tali fino al 2023.
Per quanto riguarda le previsioni sull’occupazione, queste possono godere di un ritrovato ottimismo. Di fatti l’occupazione sta leggermente migliorando, andando ad abbattere il peso degli ancora 40 milioni di disoccupati. La Fed prevede per l’occupazione nell’anno in corso un tasso del 7,6% e per il 2021 uno del 5,5%.
L’obiettivo di Powell rimane, in definitiva, mantenere stabili i prezzi e far ripartire in maniera sempre più incisiva l’occupazione.
Panoramica sul Sistema Petrodollaro
L’espressione “petrodollaro” è stata coniata nel 1973 da Ibrahim Oweiss, professore di economia alla Georgetown University, per descrivere la situazione che si è venuta a stabilire in quegli anni nei paesi dell’OPEC – quando la bilancia commerciale veniva sostenuta dal ruolo della moneta americana come riserva di valuta.
I paesi produttori di petrolio, a seguito dell’aumento del prezzo di questa materia, si sono trovati a disporre di grandissime risorse finanziarie, i petrodollari appunto perché il greggio veniva pagato utilizzando il dollaro statunitense. Tali risorse sono state reinvestite solo in piccola parte negli stessi Stati produttori. Il resto è stato riversato nel sistema economico e finanziario mondiale, con l’acquisto di valuta e titoli esteri, con effetti destabilizzanti sull’intero sistema.
Il pagamento del petrolio e di altre materie prime in dollari garantisce una domanda stabile di questa valuta, proveniente dall’estero, che serve a sostenere il cambio, in presenza di un saldo negativo della bilancia commerciale, ossia a finanziare il deficit estero degli Stati Uniti. Le materie prime sono un bene primario, comunque necessario all’economia, a scarsa elasticità della domanda rispetto al prezzo, e quindi adatto a garantire un cambio sulle altre monete indipendente dallo stato di salute di una economia.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, in base agli accordi di Bretton Woods, il dollaro è stato la moneta sovrana delle transazioni petrolifere. Il petrolio poteva essere comprato o venduto solamente in dollari, in genere riferendosi ad uno di questi tre marker petroliferi: il West Texas Intermedie Crude, United Arab Emirates Dubai Crude e il Norway Brent Crude.
Questa prassi è stata per la prima volta interrotta a Luglio 2011 con l’apertura della Borsa Valori di Kish, in Iran.
A giugno, la Cina sigla un accordo di interscambio commerciale con Giappone e Iran per la fornitura di petrolio e prodotti finiti, prevedendo il pagamento nella propria valuta locale. Il 6 settembre 2012, la Cina ha annunciato l’apertura di una Borsa Valori nella quale scambierà greggio con la Russia in yuan.